Vi propongo un altro esperimento. Non avendo fantasia, ho chiesto aiuto al popolo di Twitter e mi è venuta in soccorso Cris B. . Avevo chiesto un personaggio, un luogo e una cosa e questo (vedi foto) è ciò che mi arrivato, completo di alcune linee guida che non mi aspettavo ma che mi hanno lasciata piacevolmente sorpresa. Oggi posto la prima parte del racconto, al prossimo turno arriverà la seconda. Buona lettura!
Matteo si aspettava un mese di mare. E invece no; si era ritrovato catapultato in Supramonte, Parco del Gennargentu, Barbagia, Sardegna, Italia, Europa, Terra.
Quando aveva capito che la strada non avrebbe fatto altro che salire, aveva iniziato a piangere disperato, ricordandosi all’improvviso di una conversazione sentita per caso in cui sua madre diceva “lo manderei a fare un giro in Supramonte! Col cavolo che torna!”. Ora, la madre non necessariamente si riferiva al figlio, questo Matteo l’aveva capito, ma in ogni caso gli era rimasto impresso il tono fatidico associato al cuore selvaggio di quella meta estiva perennemente bruciata. Il Supramonte è quello dei banditi, per intenderci, qui in Sardegna lo impariamo presto, e il bambino, pur essendo nato nel “continente”, era sardo fino al midollo. Nemmeno i genitori erano felici del cambio di programma, solitamente trascorrevano le vacanze nella casa al mare dei genitori di lei in cui c’era posto anche per i genitori di lui. Il destino però aveva voluto che una zia di lui, tale Tzia Bona, decidesse di morire proprio la sera prima della partenza, quindi la famiglia aveva dovuto cambiare destinazione: da Stintino a Orgosolo. C’era da aiutare i nonni con la defunta, il funerale, la sepoltura e i parenti. Soprattutto con i parenti. Ah, e con il caffè. Sì, perché qui ai funerali si beve caffè, ad ogni parente che arriva si mette su un’altra caffettiera e via! Un altro giro per tutti, manco fossero shottini. A fine giornata si sta tutti nevrotici come chi passa una giornata in un ingorgo cittadino. Ah, poi ci sono le caramelle per i bambini, quelle alla panna. Nonne e zie più o meno acquisite danno vita ad uno spaccio che non si vede manco nei quartieri malfamati di Cagliari. E guai a dire no, che sia no al caffè o alla caramella, se ti azzardi a rifiutare, ti inceneriscono con lo sguardo. Allora ti tocca rimediare dicendo che la caramella la mangi dopo e la metti in tasca, ma il caffè è un problema, ci devi ripensare subito e mandarlo giù tutto.
Tornando al piccolo Matteo, i giorni di lutto passarono lenti ma finalmente, una volta sepolta la povera donna, la casa dei nonni si fece più tranquilla e tutta la famiglia (genitori, nonni, zii, parenti, vicini e cani) optarono per una gita in Supramonte per prendere aria.
“Non voglio andare in Supramonte! Non voglio morire lì!”
“E mica ti ci lasciamo, tesoro! Torni a casa con noi!” gli disse la madre prendendolo per mano e strascinandolo verso l’auto mentre il padre quasi rotolava dalle risate.
Il Supramonte non era poi così male, constatò il bambino appena sceso dalla macchina. La foresta di Montes con i suoi lecci secolari gli si parava davanti in tutto il suo splendore. Si trovavano nell’area picnic vicino alla sorgente di Funtana Bona, a pochi metri da una foresteria che ospitava un piccolo museo naturalistico; in men che non si dica la tavola fu preparata e sommersa da xivedde di malloreddus conditi con sugo di salsiccia e di culurgiones inondati di pecorino stravecchio, poi taglieri di salumi e formaggi, compresa una forma di casu martzu di contrabbando, barattoli di olive in salamoia, quelle buone preparate in casa da Nonna Maria, l’olio buono di Tziu Tonino, salsiccia fresca da grigliare perché qui non solo mangiamo quella fresca, ma la facciamo pure essiccare, ché di salsiccia non ce n’è mai abbastanza. E da bere? Cannonau, Nepente e, per digerire, Fil’e Ferru, anche questo di contrabbando perché lo stesso Tziu Tonino di cui sopra diceva che “L’ho sempre fatto e mai sono morto!” Infatti uno non crepa fino a quando non crepa, no?
Dopo pranzo i grandi si dedicarono a pettegolezzi e pisolini mentre i bambini organizzarono una partita di calcetto improvvisando delle porte con dei rami trovati sul limitare del bosco. Guai ad andare oltre il primo albero! Gli adulti li avevano avvisati: se ci si perde in Supramonte, a casa non si torna più.
Ovviamente la palla non aveva niente di cui preoccuparsi, dato che una casa vera non l’aveva, per cui al primo tiro andò a piazzarsi dietro un arbusto oltre la seconda fascia d’alberi. Matteo, con tutto il coraggio che aveva in corpo, andò a recuperare il pallone e, proprio mentre lo stava tirando fuori dal cespuglio, si accorse che il vento portava un verso flebile non molto lontano. Lanciò il pallone al cugino ma non lo seguì quando questo si voltò per tornare a giocare; si diresse invece nella direzione opposta, addentrandosi nella foresta alla ricerca di quello che pareva un piccolo uccellino. Camminò per un po’ senza curarsi delle raccomandazioni di genitori e parenti che dalla mattina non avevano fatto altro che ripetere “Non allontanatevi troppo e, SOPRATTUTTO, non addentratevi nel bosco!”. In effetti gli sembrò di sentire qualcuno chiamare il suo nome ma fece finta di nulla e continuò la sua ricerca. La sua curiosità era troppa, irrefrenabile. Arrivò in una radura e trovò una piccola poiana di Sardegna caduta a terra; la raccolse con delicatezza e guardò in alto alla ricerca del nido. I rami erano fitti e non sapendo esattamente che cosa cercare, si girò sui suoi passi per portare la piccola malcapitata agli zii che sicuramente avrebbero saputo cosa fare. Camminò per quello che gli parve un tempo interminabile e ancora dell’area picnic non c’era traccia. Chiamò allora i cugini per nome, uno per uno, ma ancora niente. Sentì un fruscio alla sua destra e allora pensò che qualcuno gli stesse facendo uno scherzo per dargli una lezione, magari lo zio Luca che quelle zone le conosceva bene e sicuramente gli era venuto dietro appena si era accorto del suo ingresso nella foresta, ingresso non seguito da un’uscita.
“Puoi uscire fuori adesso! Mi dispiace.”
Niente.
Iniziò allora a sentire il panico crescere dentro il suo petto e si mise a correre di qua e di là, urlando a perdifiato e con il piccolo uccellino stretto al petto.