Vi presento la mia rottura di scatole personale.

L’ultima volta vi ho scritto i miei soliti pensieri sconnessi, oggi vi presento genericamente la mia personalissima rottura di scatole, non per vittimismo o altro, ma per condividere una parte della mia storia nella speranza sia d’aiuto a qualcuno. Nel discorso sono entrate anche esperienze di altre persone e qualche parolaccia. Spero di non esser stata troppo cruda ma era necessario scrivere così.

Ci sono troppe cose a cui diamo troppa poca importanza, ad esempio la gentilezza, l’empatia, le parole.

Un mese fa stavo per tagliarmi le vene, domenica 8 aprile, vigilia del mio 26° compleanno. Per ben due volte ho avvicinato la lametta ai polsi e ho premuto un poco, cercando il coraggio di andare a fondo e mettere un punto ai sensi di colpa, ai pensieri ossessivi, all’ansia che mi impedisce di condurre una vita normale, alla sensazione di essere un peso per tutti. Giocano brutti scherzi i pensieri autolesivi. Un attimo prima vuoi solo inciderti la pelle per attenuare la tensione e tirare fuori almeno un po’ del dolore che c’è dentro spremendo le ferite fino a far colare il sangue, un attimo dopo pensi che sia meglio dissanguarsi completamente e farla direttamente finita. Levo il disturbo, così state più leggeri. Una bocca in meno da sfamare, no? Pensieri orrendi, rivoltanti, alimentati da sensi di colpa arrivati da chissà dove e chissà chi. Sicuramente da pregiudizi e bocche che paiono fogne, così come dai “c’è gente che sta peggio”, “esci che ti passa”, “basta non pensarci” e la mia preferita “devi reagire e darti una mossa”. Chi cazzo ti dice che non lo stia già facendo, che un gesto semplice come entrare in un bar non sia per me una vera e propria conquista? C’è pure gente che grida “vergognati”, che dice che uso i disturbi come “un alibi per stare a letto a fare niente tutto il giorno”. Queste due coltellate arrivate direttamente da una “familiare”, quella che in teoria dovrebbe essere mia nonna ma, evidentemente, non lo è ora e non lo è mai stata. Pure psicologa, ve lo immaginate? Una pazza di 80 anni abbastanza lucida da sapere cosa stava dicendo che urlava a pieni polmoni che mi devo vergognare. Come direbbero in inglese “way to go! Bene così!”. E non sono l’unica con questo tipo di esperienza purtroppo.

Vedete, i peggiori nemici la maggior parte delle volte li abbiamo in casa. Hai l’ansia? Esci. Sei autolesionista? Smetti. Ti vuoi ammazzare? Non ha senso. Sei depresso/a? Fai una passeggiata. Ti strafoghi? Smettila. Rifiuti il cibo? Non vorrai mica diventare pelle e ossa. Ti strafoghi e poi ti procuri il vomito? Peggio per te. Sei alcolista/drogato/dipendente da qualcosa? Che schifo, il peggio del peggio. Agorafobica? Giro al centro commerciale come terapia d’urto e vedrai che passa tutto. Etc. etc. Si riduce tutto ad un “HO (inserire nome) che fa queste cose. MI ci mancava solo questa”. Scusa, eh.

Perché fermarsi un attimo a chiedersi cosa ci sia dietro costa troppo. Capisco che i disturbi psichiatrici facciano paura, ma non sono MAI una vergogna. Mi chiedo se vi fermiate mai a pensare a quanta paura facciano a chi li combatte giorno e notte, sette giorni su sette, h24, senza poter mai riposare. Le pilloline non fanno le magie, non sono davvero “happy pills”, pillole della felicità, perché non sempre si trova quella giusta, a volte funzionano per un po’ e poi “ciao, è stato bello  finché è durato”, altre volte creano altri problemi, tra cui disturbi del sonno che noi “disturbati” spesso abbiamo già; insonnia, incubi, terrori notturni, ipersonnia, etc. Ah, senza dimenticare i fantastici mix tra un disturbi del sonno che contribuiscono, insieme agli atteggiamenti sopracitati, a peggiorare notevolmente i sintomi, la qualità della vita e a rallentare la guarigione.

Mi chiedo un’altra cosa: davvero la gente si stupisce quando una persona s’ammazza? Dopo aver ripetuto di star male, dato spiegazioni fino allo sfinimento, sopportato pregiudizi, incomprensioni e minchiate varie. Davvero ha il coraggio di stupirsi? Uno cerca aiuto, gliene dicono di tutti i colori e poi “era troppo fragile”. No, bestie. Non era lui/lei ad essere fragile, siete voi che l’avete gambizzato/a quando vi ha chiesto aiuto. La gente che si suicida non è fragile e nemmeno egoista, non ha altra via d’uscita. È diverso. E quando il danno è fatto, “eh, ma poteva farsi aiutare, la mia porta era sempre aperta”. Ah sì? E quante volte gliel’hai sbattuta in faccia con “c’è gente che sta peggio… sapessi io… devi darti una mossa… reagisci… esci e vedi come ti passa”e tutto il resto. Quante volte? Troppe. Sicuramente troppe.

Mi chiamo Giuliana e ho 26 anni. Ho disturbo d’ansia generalizzata, disturbo ossessivo compulsivo, pensieri suicidi, altre robe che manco ricordo, ho pure una tendenza alle dipendenze e sono una (ex) autolesionista. Sono una persona, non una serie di diagnosi motivo per cui non mi sento una vittima e nemmeno malata. Ho deciso di condividere la mia storia e pezzetti di storie di altre persone perché sono incazzata, stufa di dover subire uno stigma sociale insensato e malato. Scrivo nella speranza di accendere un piccolo lumicino nella “selva oscura”, per citare un grande, di pregiudizi e ignoranza testarda e per invitarvi a riflettere sempre, essere gentili ed empatici sia nei gesti che nelle parole. Non possiamo mai sapere chi abbiamo davanti e dove sia persa la sua testa, dove sia sospesa la sua vita e una parola sola potrebbe fare una grande differenza, in alcuni casi addirittura tra la vita e la morte. Ho deciso soprattutto di condividere per chi ha rotture di scatole come le mie o peggiori, per dire “ehi, tu! Non sei solo. C’è gente che ti capisce perfettamente da qualche parte nel mondo e ti vuole un gran bene e ti reputa importante anche se non ti conosce nemmeno”.

Alla prossima, sperando in temi più allegri.

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